Bollettino inverno 2020 - Editoriale

Attendere è prenderci cura di noi

A tutti noi sarà capitato di attendere l’arrivo di qualcuno.
Ma cosa vuol dire attendere? Significa «tendere, avere una tensione verso qualcuno, verso qualcosa», da cui in italiano le due parole: «attesa» e «attenzione». Se si attende l’arrivo di una persona amata – ad esempio in una stazione ferroviaria –, allora la tensione, motivata dal desiderio di incontrarla, diventa più forte e l’attesa si carica di un’attenzione che tiene all’erta tutti i sensi: si guarda spesso l’orologio, si allunga l’occhio verso i binari, ci s’immagina la porta del treno da cui uscirà la persona che attendiamo e il primo sorriso che ci scambieremo; in questa trepidazione si vive la dolcezza di tanti ricordi: del primo incontro, dei bei momenti trascorsi e delle gioie condivise; ma anche delle fatiche e dei dolori che si sono sopportati insieme.
L’attesa dunque provoca una differente percezione del tempo e apre il nostro cuore al ricordo. In un bel documentario intitolato “L’attesa”, il regista Roland Sejko, nei 50 minuti impiegati da Papa Francesco per raggiungere in aereo Tirana durante il suo primo viaggio apostolico nel settembre 2014, rievoca il ricordo della dittatura comunista in Albania; in questo caso l’attesa dell’incontro col Papa addolcisce – nella memoria del regista – l’amarezza di tante sofferenze patite dal popolo albanese e apre il cuore alla bellezza di una vita nuova da vivere nella libertà. Attendere, dunque, è un’esperienza emozionante e trasformante soprattutto se amiamo la persona che attendiamo. Lo capiamo bene quando una persona amata tarda ad arrivare: allora tutta la dolcezza si trasforma in ansia e in preoccupazione e quell’attesa che dilatava dolcemente il tempo, diventa interminabile. Con il tempo d’Avvento noi cristiani impariamo a vivere l’attesa della venuta, l’avvento del Signore Gesù che amiamo. Ma sappiamo quando verrà? Abbiamo un appuntamento con lui? No, non ci ha detto quando ritornerà. È proprio questa mancanza di un appuntamento preciso che rende l’attesa del ritorno glorioso del Signore per un verso più dolce (perché sappiamo che è degno di fiducia e certamente tornerà), ma anche più trepidante (perché non possiamo permetterci di essere lontani quando arriverà alla “stazione” della nostra ultima ora). Lui stesso ci invita in Avvento a «fare attenzione», «a vegliare», a non perdere cioè quella tensione che ci permetterà di realizzare con lui il definitivo incontro. Cosa ci aiuta a vivere bene questa attesa? Il fatto che lui è già venuto una prima volta nel suo Natale e che sempre viene nella preghiera, in particolare nella liturgia eucaristica, quando annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione, «nell’attesa della sua venuta»! Attendere lui significa “attendere” alla nostra salvezza, prenderci cura di noi, della nostra vita nello Spirito. Con lui, nella fede condividiamo i momenti più belli della nostra vita e anche i più difficili; pertanto è dolce, fin d’ora, attendere il suo Avvento!
Carissimi, buon Avvento per vivere un vero Natale (anche se saranno Avvento e Natale particolari, disagevoli, ma per questo ancor più significativi e confortanti)!

 

 

    don Gian Pietro