Una famiglia falcidiata dal virus

Per gentile concessione de LA REGIONE

Il lutto di Pio Taborelli

che in tredici giorni ha dovuto dare quattro dolorosi addii

di Cristina Ferrari


Ci sono storie che, anche per noi giornalisti, è impossibile scriverne con distacco. Anzi, finiscono per trasformarsi in racconti contraddistinti da empatia e compassione fino a provare quei brividi che si avvertono solo quando la quotidianità, improvvisamente, si fa imprevisto, avvenimento inatteso, fuoriprogramma. Pio Taborelli, poco meno di un anno fa, mai avrebbe, infatti, immaginato di ritrovarsi senza quasi più un familiare diretto, se non la moglie e qualche cugino. In soli tredici giorni “il virus” si è preso il papà, la mamma e due zie, i genitori se ne sono andati a distanza di poche ore, le due sorelle del padre a tre giorni l’una dall’altra. Un dolore che per Pio è lontano dall’essere elaborato, confrontato ancora com’è – quando lo intervistiamo – con le attese burocratiche dovute alla pandemia e con l’organizzazione dei funerali. Lo raggiungiamo nella sua casa, per quasi quarant’anni condivisa con i genitori, non lontana dall’abitazione delle affezionate zie. Un nucleo familiare unito, da sempre all’ombra della chiesa di Sant’Antonio a Balerna.
«Un caso, credo, più unico che raro, anche di questi tempi costellati di morti e di tanta tristezza per molte persone anche nel Mendrisiotto – risponde alla nostra telefonata Pio –. Siamo sempre stati tutti e sei molto vicini. Non eravamo certo quel tipo di famiglia che si vede solo una o due volte l’anno. Essendo figlio unico, poi, ho sempre potuto godere della vicinanza anche affettiva delle zie, che non si sono mai sposate. Per questo la loro assenza mi peserà ancora di più...». C’è l’amore che viene, dunque, fortunatamente a consolare, un affetto grande come quello dei genitori lungo ben 62 anni e mezzo: «Si sono sposati il 5 settembre 1957 e io sono nato il 7 luglio ‘58. Un’unione coniugale che si è tradotta negli ultimi sette anni, quando mamma si è ammalata di Alzheimer, con una condivisione ancora più forte anche con me, in quanto l’accudivo quotidianamente».


‘Mi chiedo come l’abbiamo preso’
Poco più di una manciata di giorni, dicevamo, ha avuto Pio per assistere, attonito, all’addio di quattro familiari: Antonio, il papà, classe 1932, morto il 29 dicembre; la mamma Ofelia, 87 anni, scomparsa l’indomani; le zie Nicoletta, del ‘29, e Valeria (1930), mancate fra il 7 e il 10 gennaio. «Ci siamo ammalati tutti di coronavirus. Io stesso sono risultato positivo. Mi chiedo ancora come l’abbiamo preso... Qualcuno mi ha consolato dicendomi di non farmene un cruccio... Non lo so...». Chiedere come ci si sente, in un periodo di emergenza mondiale, sembra quasi una domanda fuori luogo. Ma la delicatezza e la disponibilità di Pio ci portano comunque una risposta: «Provo in questi giorni una sensazione strana... forse è stata la vista delle urne. Ho ricevuto però molte partecipazioni, non di facciata. Molta gente ci è stata vicina, confortandoci. Però adesso penso che siamo rimasti solo noi due, io e mia moglie...».
Lo interrompiamo, il signor Pio. C’è qualcosa che vogliamo chiedergli: ma se lo aspettava lo scorso marzo di poter perdere qualcuno ‘di vicino’ a causa del coronavirus? «No!», poi prende fiato e aggiunge una considerazione che va ben oltre questo nuovo virus: «Sono un essere umano, e come tanti credo, qualche volta ho pensato chi ci avrebbe lasciato per primo in famiglia... un po’ soprattutto negli ultimi tempi, considerate le belle età dei miei familiari. Ma mai avrei pensato di fare quattro funerali in pochi giorni, questo no!». A Pio trema la voce, gli eventi sono stati tanto improvvisi quanto pesanti, soprattutto dal profilo psicologico, poi si riprende e ci dice: «Per fortuna ho la fede, e la fede aiuta in particolar modo nei momenti più difficili. Sa, non è facile, adesso sono qui nella mia casa e guardo fuori dalla finestra e vedo la chiesina di Sant’Antonio dove abitiamo, che frequento da quando ero un bambino quale chierichetto. Spero così che mi dia la forza, ora che l’appartamento dei miei genitori e la casa delle zie sono chiusi, di poter ritrovare un po’ di serenità. Ho 63 anni vorrei tanto vivere con mia moglie gli anni che mi restano con tranquillità».


Il momento del dolore
Il pensiero torna così a dicembre, quando in meno di ventiquattro ore ha dovuto ‘salutare’ i genitori: «Ero a casa con la febbre. In men che non si dica ho dovuto ricoverare mio papà in quanto era peggiorato. Nel frattempo mi hanno chiamato dall’Ospedale italiano di Lugano dove mamma si trovava dalla Vigilia di Natale per farmi sapere che era grave. In poche ore se ne sono andati insieme, io li immagino mano nella mano, del resto papà diceva sempre ‘se mor la me dona, a mori anca mi’ (se muore mia moglie, muoio anch’io). È stato tutto velocissimo. Quando abbiamo chiamato l’ambulanza mi ha detto ‘dammi la berretta che ho freddo alla testa’. Ci siamo anche messi a ridere quando la soccorritrice gli ha risposto ‘ma sciur Taborelli, l’ambulanza l’è riscaldata’. Ho fatto appena in tempo a salutarlo ‘sa vedum pö quando ta vegnat a cà’ (ci vediamo quando torni a casa)... Guardi...». Una coppia inossidabile, Antonio e Ofelia: «Da figlio unico me li sono molto goduti, come le zie. Ascoltavano ogni mia richiesta, cose semplici che mi portano oggi ad avere bellissimi ricordi. Papà mi portava spesso a fare passeggiate in moto, la macchina negli anni Sessanta era un lusso. Mi portava al Generoso. Faceva anche due viaggi, per tornare a casa e prendere anche la mamma per stare tutti insieme alla Bellavista. Ero molto attaccato».
Moglie e marito, e tanto amore da donare: «Lui viveva per la sua Ofelia – è il ricordo di Pio –. Certo anche mamma viveva per papà, ma lui soprattutto diceva che non avrebbe potuto sopportare un distacco... Sono convinto che lui le abbia chiamate tutte e tre... scià, me le porto via, deve aver detto lassù. Adesso però io ho bisogno della forza di tutti e quattro per poter continuare la mia vita...». Una testimonianza forte, che potrebbe insegnare molto a chi pensa ancora che questo virus sia una semplice influenza. Cosa direbbe insomma ai negazionisti? «Non so proprio che dire. Non auguro a nessuno di provare il dolore che sto provando io. Se oggi riesco a trovare in me una grande forza, domani non lo so... So solo che quando andrò al cimitero li avrò lì tutti insieme».